domenica 12 dicembre 2010

A PROPOSITO DELL'AREA LEBOLE


IL CASO LEBOLE

Un curioso aspetto della nostra comunità è l’insolito atteggiamento nei confronti dei propri destini urbanistici. Mi sento di sostenere questa posizione alla luce dei molti scempi urbanistici ed architettonici perpetuati nel corso degli anni, azioni che stranamente sono state subite senza proferire parola, in maniera del tutto supina da parte dei cittadini, di molti politici che li rappresentano ed anche di molti cosiddetti professionisti “tecnici”. Tutto questo nonostante che oggi tutti si intendano di tutto, e nonostante che tutto venga dibattuto anche in maniera becera e, riferendomi ai toni, anche con una notevole vis polemica che talvolta arriva a sconfinare nella violenza verbale.
Questa vuole essere l’introduzione al caso Lebole, un grande tema che è divenuto “ciclico”, nel senso che si ripresenta puntuale quanto irrisolto ad ogni nuova Amministrazione. Non ne parlo per il convincimento che un altro parere possa in qualche modo dare un contributo concreto in merito, visto che tanto in questa città poi si fa quello che, come dice Bianconi, i poteri forti decidono, bensì spinto dal mio ruolo politico ed anche sollecitato dal mio Presidente Provinciale.
Il problema ho iniziato ad affrontarlo quando ero membro della Commissione Edilizia. Al tempo si credette che per risolvere le problematiche di un comparto così importante bastasse presentare una semplice DIA (la Dichiarazione di Inizio Attività con la quale si legittimano per lo più interventi di modesta entità). Cosa questa che rasenta l’incoscienza! Fortunatamente allora prevalse il buon senso e la DIA non fu accettata, per rinviare il problema ad un livello di discussione di ordine superiore, senz’altro più consono all’importanza del tema in questione.
Adesso, dopo tanti anni di parole, di contrasti, di manovre più o meno limpide, è inevitabile che la matassa del problema si sia intricata, ed insieme le cognizioni della Città si siano fatte meno lucide. Credo quindi che si debba riportare la questione ad un “punto zero”, per ridare chiarezza al tema e toglierlo dal pericolo dell’interesse di casta, qualsiasi essa sia, cercando di mirare all’interesse comune, o per meglio dire per cercare di dare una risposta efficace ed efficiente ai bisogni dell’intera comunità. Parto dal presupposto che l’area Lebole venga affrontata male sin dalla dimensione linguistica, perché in realtà è più proprio parlare di stabilimento Lebole, quell’opificio che ha contribuito alle fortune ed alla crescita della nostra città; per questo dovremmo affrontare il tema anche sotto il profilo del recupero di una architettura industriale, che possa anche in futuro essere testimonianza e memoria di quei fratelli Lebole, che non basta ricordare solo intitolandogli una strada cittadina. Anche nella logica di una cultura che si rinnova senza negare le proprie radici, che guarda anche con interesse ad una trasformazione urbana sostenibile che non cada nella facilità di rapidi consumi, che in edilizia significano tanto perdita di identità, quanto produzione di macerie e scarti non sempre così facilmente smaltibili.
Se quanto auspico non fosse possibile, se l’intera comunità non condividesse questa cultura, che peraltro avevo indicato anche nel caso della ex scuola Margaritone, allora si dovrà comunque affrontare una progettazione seria ed organica del comparto, in relazione ai piani di sviluppo del territorio comunale e sovracomunale, confrontandoci quindi con la pianificazione generale, nell’ottica di non monopolizzare e prosciugare tutte le risorse edificatorie di cui la città realmente abbisogna, ma tanto meno per non rischiare di realizzare un mostro di cui la città non sente il bisogno. Questo è l’obiettivo più importante che una attenta analisi urbanistica deve porsi, altrimenti sarebbe come creare grandi cantieri navali senza avere un porto e neppure una darsena.

Arch. Roberto Severi
Vice.pres. la DESTRA

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